La pazza gioia di Valeria Bruni Tedeschi

Bene, dove eravamo rimasti?
Esordì così, Enzo Tortora riapparendo in Rai dopo anni che era, contro la sua volontà, sparito dagli schermi, imbrigliato in una lunga vicenda giudiziaria iniziata quando un camorrista fa il suo nome coinvolgendolo in una assurda storia. Quando la vicenda si risolve, Tortora torna al timone di Portobello, uno show antesignano di quei strani paradisi di freak che tanto ci piacciono sul piccolo schermo.
Questa frase e il personaggio di Enzo Tortora sono, da sempre, impressi nella mia mente; rientrare in scena con una frase apparentemente banale che racchiude assieme l’assenza, la presenza ed il travaglio.

Ho ripreso questa frase perché questa assenza dalla scrittura – lunga due mesi – è stata dettata in parte dagli impegni (nel mentre pare che il mondo abbia una laureata in filologia in più) in parte da dolorose vicissitudini personali che mi hanno sottratta alle cose che più amo: leggere, scrivere e disegnare. In parte sto ricominciando a fare tutte e tre le cose, un passo alla volta, ogni mattina provo a dirmi  dove eravamo rimasti? E ricomincio, talvolta ricordandomene, talvolta no.
Da ieri ho ripreso a scrivere – per lavoro e per piacere – e mentre ieri sera preparavo mentalmente il post per riprendere questo blog, guardavo i David di Donatello e gli eventi hanno del tutto stravolto i miei programmi. Grazie a La pazza Gioia si è visto il trionfo – meritatissimo – di Valeria Bruni Tedeschi come migliore attrice protagonista. Il premio l’ha colta in pieno, nella sua emozione e nella sua emotività, ed io, non posso nasconderlo, mi sono commossa. Valeria Bruni Tedeschi se n’è letteralmente fregata di tutti i presenti in sala, del tempo ristretto per i ringraziamenti e tra risate e lacrime – proprio come una persona qualunque, investita da una pazza gioia e da un grande successo – ha letto una delle cose più belle e sincere che io abbia mai sentito (la rivista Ciak ha riportato qui per intero il bellissimo discorso). E chi se ne frega se tutti pensano che sei fuori come un balcone.

Amo le persone che si lasciano andare, che incastrano il vestito nel tacco. Che non si controllano e si lasciano vivere e prendere dal panico, dalla felicità e da qualsiasi altra emozione. Valeria Bruni Tedeschi ha mostrato le sue fragilità: il cuore spezzato dall’amore, la solitudine dell’infanzia, la fragilità emotiva sottolineata da quel sarcastico “ringrazio la mia psicanalista”; in poche righe ha saputo raccontare tutta la sua storia personale e questo mi è sembrato anche un bel colpo di letteratura, perché mentre leggeva mi è sembrato di rivedere tutto il suo passato. Non a caso l’attrice ha ringraziato Natalia Ginzburg – per averla consolata ed ispirata – grande maestra del raccontro personale in controluce, cosa che ha fatto con grande maestria in un libro come Lessico Famigliare (che, per puro caso, ho finito qualche giorno fa di leggere)

Mentre ascoltavo mi chiedevo quanta forza debba esserci per mostrarsi così esposti e così spogli ad un mondo pronto a sbranarti, pensavo che forse deve essere liberatorio e al tempo stesso doloroso mettersi così a nudo, e che sarebbe bello che tutte le donne avessero la stessa possibilità di mostrare con la stessa violenza e la stessa facilità il proprio mondo interiore e la propria storia. In un universo mosso da valori come la forza e la determinazione, uno spazio per la fragilità è un piccolo angolo di paradiso.
Questo mio discorso non è un discorso prettamente al femminile, non vuole ricalcare lo stereotipo della donna sempre troppo emotiva, anzi. Credo che una grande lezione Valeria Bruni Tedeschi la possa dare soprattutto agli uomini, prime vittime in questa società dello stereotipo del carattere forte. Il mondo interiore è sempre qualcosa di cui ci vergogniamo, ma che cosa bella sarebbe se ognuno si sentisse libero di raccontare la propria storia, e di ringraziare quella amica all’asilo che divise un pezzo di focaccia. Ne sono uscita un po’ provata ma ho vissuto questa “visione” come un segno del destino, un’incitazione a riaprire una finestra su ciò che sono come ho sempre fatto attraverso la scrittura ed il disegno.

Tre buoni motivi per amare Chi l’ha visto?

Tutto è iniziato tanti anni fa, in quella che a casa mia era comunemente identificata come la stanza della televisione.  La stanza della televisione non era un salotto con al centro il fantomatico elettrodomestico: nella stanza della televisione c’era (c’è) il tavolo quindi: si mangiava, si facevano i compiti, si giocava, mamma accoglieva sua cugina per farsi mettere i bigodini o per leggere riviste tra cui: Grandhotel, Gente, Oggi. Fin quando era con noi, la stanza della televisione era il regno indiscusso di mio nonno, l’unico nonno che ho conosciuto. Mio nonno amava un sacco di cose, tutte in modo spasmodico: la Peroni (ero addetta a togliere una specie di guscio da sotto il tappo per vedere se avevamo vinto non so cosa) i cruciverba, la DC, la Juve Stabia (squadra di calcio della mia città) e varie cose della tv: Enzo Biagi e Chi l’ha visto? sono quelle che ricordo in modo più netto.  A quei tempi Chi l’ha visto? Era condotto da Donatella Raffai e non ricordo perché io mi ritrovassi a guardarlo con mio nonno. O forse sì. Mio nonno era sordo e, nonostante gli apparecchi acustici posizionati dietro gli occhiali, per la folla che spesso si creava nella stanza della televisione, veniva nella mia stanza a guardare la tv, perché, data la posizione, ci si poteva letteralmente attaccare vicino. Era una cosa che mi piaceva un sacco.

La cosa che ricordo meglio è quella parete con il numero per chiamare in studio

La cosa che ricordo meglio dell’epoca della Raffai è quella parete con il numero per chiamare in studio

A quei tempi nutrivo un po’ di timore per le musichette di Chi l’ha visto? ma l’idea che le persone non potessero scomparire nel nulla grazie a qualcosa che era in tv mi piaceva: era come avere un investigatore privato e non pagarlo, al prezzo di condividere le tue vicende personali con l’Italia e mio nonno.
Crescendo la musichetta, colonna sonora del programma, combinata alla voce di Gian Loreto Carbone è iniziata a diventare insostenibile, e ho smesso di guardarlo. Ma, giunta alla soglia dei trenta anni credo di avere la giusta maturità dell’anima per poter apprezzare questa punta di diamante del nostro servizio pubblico televisivo (ed anche la giusta età per non avere più paura di Gian Loreto Carbone).  Chi l’ha visto? inchioda al televisore un sacco di miei coetanei; qualcuno se lo tiene per sé, altri come me e alcuni miei amici vanno molto fieri di essere tra la nicchia di appassionati, e ama vantarsi di essere parte del pubblico di affezionati in ogni dove. Il programma ora è condotto da Federica Sciarelli, che ha saputo portare il programma ad una messa in onda su Rai Tre giornaliera.  Potrei parlare per ore a ruota libera di Chi l’ha visto? ma rischierei di perdermi in un magma di elogi per cui, mi limito ad elencarvi tre buone ragioni per seguirlo, e per iniziare a vivere, come me, l’intera settimana nell’attesa che sia mercoledì, altro che attesa del fine settimana.

Vi prego guardate i suoi capelli come sono perfetti.

Vi prego guardate i suoi capelli come sono perfetti.

1: Federica Sciarelli

È soprattutto grazie a lei che mi sono riavvicinata al programma: prima di tutto ero incantata dal suo taglio di capelli perfetto, dopo qualche mese ho iniziato anche ad ascoltarla e così sono finita nel tunnel della costante attesa della sua apparizione in tv. È una donna e una giornalista troppo forte, quello che più amo di lei è il suo essere determinata: quando si convince di una cosa nessuno la smuove più e ne parla, se è necessario, anche per settimane e settimane di seguito. Dal caso Orlandi (la Sciarelli un mercoledì sì e uno no si schiera, in diretta, contro la Chiesa, che accusa di proteggere gli assassini; cose da poco, insomma) a quello di Sarah Scazzi ha dimostrato di essere l’esempio di una tenacia che mancava sul piccolo schermo; nell’ultimo periodo ha dato grande prova della sua bravura e della sua voglia e capacità di stare vicino alle persone con il caso di Tiziana Cantone: in questa tragica occasione, infatti, la Sciarelli credo sia diventata una massima esperta di questioni legali legate alla privacy e ai social network: per svariate puntate ha snocciolato e spiegato con termini semplici questioni legate a queste tematiche come nessuno, credo, avrebbe saputo fare. In più non la manda a dire a nessuno: io non dimenticherò mai il momento in cui, durante un collegamento con i parenti di una ragazza sparita, un tizio si mise dietro alla telecamera e lei con il garbo che la contraddistingue anche quando le sta partendo un embolo, disse: “ma lei lo sa che è un cretino?”
Il mio sogno è conoscerla. O quanto meno spero che prima o poi appaia sui social network in prima persona.

2 Il modo di raccontare

Chi l’ha visto? ha un modo tutto particolare di raccontare questioni delicate; infatti, si tratta per lo più di persone scomparse ma anche di persone uccise, persone che non riescono ad ottenere giustizia e molti altri casi che non vengono riportati come semplici episodi di cronaca nera, con morbosa curiosità: i giornalisti di Chi l’ha visto? entrano nelle storie insieme alle persone che ne sono protagoniste, sanno raccontare il loro dolore e ne hanno un religioso rispetto. Tu da casa vuoi saperne di più, vuoi aiutare gli intervistati e molto spesso ti viene da abbracciarli. La redazione di Chi l’ha visto? è il Team Avengers della tv ed io, non vi nascondo, che vorrei farne parte: anche solo come quelle signorine che rispondono al telefono, che ogni mercoledì guardo con grande ammirazione.

3 Gli annunci degli scomparsi

Diciamocela tutta: di fronte a questo programma il confine tra te e Sherlock diventa molto labile: tu guardi perché sei un grande appassionato di gialli e misteri, ma anche perché speri di essere tu una di quelle persone che avvistano gli scomparsi. Entri nella mentalità della grande rete di supporto. Se Federica Sciarelli dice ad esempio Napoli o Provincia di Napoli, io alzo il volume. Perché anche se non riuscirò mai a lavorare nel team degli Avengers, allora, vorrei almeno essere d’aiuto.